sabato 23 luglio 2011

Festa dei Lavoratori


E’ giovedì 21/07 e sono in ufficio a lavorare (diciamo così..). La produzione di solito è ferma in quanto nel distretto di Chakan dove ci sono  parecchie aziende che sono nate come funghi  negli ultimi 10 anni non c’è sufficiente energia per tutti. Soluzione ? Ogni azienda ha un giorno “off”nel quale deve tenere spenti tutti gli impianti in modo da consentire alle altre industrie di lavorare. C’è chi si ferma il Lunedì, il Martedì e cosi via.. Chiaramente anche negli altri giorni lavorativi i black out sono parecchi e frequenti.





Nel silenzio più assoluto che mi circonda, inizio a sentire una serie di urla eccitate, grida assordanti e una musica che piano piano diventa sempre più forte. Incuriosito mi dirigo verso il piazzale merci. Passo per il reparto di saldatura, quindi quello delle presse ed eccomi lì, affacciato sul piazzale incuriosito come un bambino.

 

Un sacco di persone saltellano spingendosi l’una contro l’altra lasciandosi trascinare dalla musica che proviene da un camion che sembra uscito da un cartone animato. Una nube rossa ricopre tutte le persone, che danzano felici abbracciandosi e ringraziando il loro dio, Ganesh. Il rosso in India è il colore della festa. Oggi è un giorno da festeggiare.

Parecchie persone si fermano ai bordi a guardare, altre si lasciano andare al piacere della festa. Pur essendo la produzione ferma, sono venuti apposta dalle campagne circostanti dove vivono per festeggiare questo giorno speciale. Danzano sorridendo alla vita, sorridono al loro dio che oggi gli ha fatto un grosso regalo. Per molti di loro oggi è un giorno da ricordare, un giorno che può voler dire una vita migliore, una vita più decorosa.







La potremmo chiamare così: “La festa dei lavoratori”. Incredibile, ma India. Dopo circa 3 anni di lotte tra i sindacati locali e l’azienda, l’accordo in data 20/07/11 è stato raggiunto. Per tutti i lavoratori si passa da 14 a 18 lack, ovvero da 220 a 280 euro/mese circa.
                                              


Nei loro movimenti concitati e urla di gioia c’è tutta la felicità di chi realizza che il futuro da domani può avere un risvolto diverso, inaspettato. Grazie Ganesh.


giovedì 14 luglio 2011

La Nuova Generazione Indiana

Ore 08:05, sono in macchina con il mio autista Mukesh, direzione lavoro. Stamattina ne approfitto per rendervi partecipi delle differenze culturali presenti nei giovani che si riflettono poi su tutto il mondo indiano.
                                                                                                  

E’ difficile parlare della gioventù indiana in modo univoco in quanto ci sono principalmente due realtà; una legata alle vecchie tradizioni e una “moderna”. L’influenza delle famiglie e le esperienze che hanno maturato sono essenziali nel processo di crescita di queste persone. Chi proviene da famiglie povere, che vivono in piccoli villaggi senza aver avuto mai nessun contatto al di fuori dell’India, sono persone che vivono nella tradizione, dal modo di vestire al modo di comportarsi. Per loro la macchina è un lusso e non esistono centri commerciali, vivono quotidianamente di quello che il piccolo villaggio offre: un tetto (molte delle volte fatiscente), spazi aperti per chiacchierare e piccoli bazar dove lavorare. Al mattino si vedono flotte di bambini, vestiti tutti uguali in bianco e blu, che gironzano intorno ai genitori in attesa che un  auto rickshaw (un ape a 3 ruote coperto; mezzo di trasporto più utilizzato dagli indiani insieme alla bici e alle moto) passi e li porti a scuola.


Poi quando parli con Yuri e Puri, due dei miei amici indiani con cui ho stretto di piu’, ti accorgi che c’è tutta un ‘altra realtà. Una realtà fatta di serate in compagnia in ristoranti di un certo livello, ballo latino americano e lavori importanti in aziende di IT. Questi ragazzi, hanno ricevuto un’istruzione importante che gli ha permesso di studiare nelle migliore scuole di Pune o dintorni (Goa per il mio amico Yuri) ma soprattutto di avere una mentalità aperta, molte volte piu’ della nostra.  Fin da piccoli sono stati abituati a parlare 3 lingue: marathi (lingua regionale), indi (lingua nazionale) e inglese. Questa formazione, eredita dagli ex dominatori inglesi, unita ad una certa condizione economica, una spinta familiare, ad internet e alle amicizie di un certo tipo, fa si che questi ragazzi siano estremamente flessibili, dinamici, aperti alle nuove esperienze, pronti ad una nuova vita. 



Mangiano, pensano, si divertono, riflettono, progettano il futuro come noi, solo in modo diverso. Da alcuni racconti, a volte la spinta famigliare non c’è, e allora lo scontro generazionale all’interno dello stesso nucleo familiare diventa davvero un grosso ostacolo. Ma questa è un’altra storia.


La spinta verso il cambiamento e il rinnovamento di questa nuova generazione è quotidianamente visibile in una caotica Pune. Seppure ci siano differenze incolmabili tra ceti diversi e la povertà domina sovrana ovunque, è solo questione di tempo e anche l’India prima o poi arriverà ad essere un paese civilizzato. Non mollate ragazzi.





sabato 9 luglio 2011

Due Mesi

E’ da alcune settimane che non scrivo più sul blog. Parecchie cose sono successe: Sono diventato ufficialmente un italiano residente all’estero, mi sono iscritto in palestra, ho conosciuto persone nuove e sono diventato un assiduo frequentatore del Venky’s Chicken. Non passa un giorno che un pollo o una sua parte seppur piccola passi attraverso il mio stomaco..

Ormai sono quasi due mesi che sono via ed è ora di fare un piccolo primo bilancio. Le prime settimane sono sembrate mesi, le settimane di mezzo sono volate, le ultime sono ritornate ad essere lente. E’ un miscuglio di sentimenti ed emozioni che non mi ha ancora abbandonato da quando sono arrivato in terra straniera. A volte mi fa davvero strano stare qua, altre volte è normale, altre ancora non so. Nelle ultime settimane ho conosciuto un po’ di ragazzi indiani con cui di solito passo il fine settimana anche se in realtà preferisco starmene in casa a rilassarmi spaparanzato sul divano cercando di mettere in fila i pensieri che mi passano per la testa. Non sempre ci riesco, anzi in realtà quasi mai.
Le serate passano veloci tra cocktail analcolici, balli di gruppo e chiacchierate che non quasi sempre riesco a portare avanti dato il mio scarso inglese. Almeno ci provo.
Questo gruppo di ragazzi indiani mi è stato presentato da Ana (come si fa chiamare lei), una ragazza di New York che a Pune per lavorare su un progetto di beneficienza della durata di due anni circa. Lei è molto spigliata, direi pazza anche, e parla un inglese fantastico..ma và !? Grazie a lei queste ultime tre settimane hanno iniziato ad avere un senso. Grazie Ana.

Insomma, la mia testa ha iniziato di già a fare il countdown verso metà agosto quando tornerò per un po’ di meritato riposo. Le cose che mi mancano di più ? Senza dubbio, la mia ragazza e la mia famiglia.

So che non è il modo più opportuno per affrontare un’esperienza nuova, ma ancora non sono riuscito a staccarmi completamente dall’idea di essere lontano da casa. Diciamo che sono ad un buon 60%, per il resto mi tocca imboccarmi le maniche e darmi da fare. L’ozio è un brutto nemico che devo imparare a combattere al più presto.

La strada è irta e tortuosa ma è già tracciata. Forza Luca



sabato 18 giugno 2011

George il Custode

Ogni mattina, dopo aver chiuso a tripla mandata l’appartamento e inserito un lucchettone anni ’50 scendo le scale e prima di uscire dalla society mi fermo volentieri a fare due chiacchere con George. George insieme ad altri due colleghi  è il custode di questa society: un gruppo di condomini racchiusi da delle mura, con identificazione all’ingresso per motivi di sicurezza. 


In questi residence, di solito ci sono gli stranieri, anche se pochi, ma soprattutto le facoltose famiglie indiane che potendosi permettere un qualcosa in più preferiscono questi complessi poiché dotati anche di altre comodità: gruppo di continuità elettrico (qui c’è una media di un black out di decine di minuti ogni 2 ore circa), piscina, spazio dove far giocare i bambini, ecc..

La mattina, ancora mezzo intorpidito dal veloce risveglio, è uno spasso fermarsi a parlare con George. George ha appena cambiato lavoro. Prima lavorava come aiuto meccanico in un’officina di macchine poi la baracca è venuta giù e quindi ha trovato lavoro qui come custode. La sua paga è di 4.000 rupie, meno di 70 euro al mese. Appena mi vede fa un grosso sorriso e mi dice con un accento tutto suo  “how are you my friend ?”. Poi parliamo un po’ di tutto per alcuni minuti prima che arrivi l’autista e io vada al lavoro.


Ieri per la seconda volta, mentre scherzando gli dicevo che deve mangiare di più perché è quasi scheletrico, con un movimento impercettibile della mascella mi caccia fuori la dentiera! Voltandomi lo insulto in italiano mentre lo invito a rinfilarsela dentro. Allora in cambio di quello spettacolo macabro (“George is the last time, ok !?”), salgo in casa e gli porto un po’ di pacchetti di biscotti. Lui tutto contento li accetta ed inizia a mangiarseli..

George è sposato, ha due figlie ormai grandi che vivono nell’area di Koregaon Park  ed è a modo suo un tipo molto preciso. Sta seduto tutto il giorno su una vecchia sedia di plastica o dentro una specie di cabinotto fatto ad arte per le guardie. 

Appena una macchina deve entrare o uscire, lui scatta in piedi, sorriso 24 denti (anzi facciamo 13…), posizione sull’attenti e poi corre come un pazzo verso il cancello, lo apre e lo richiude immediatamente dopo. 


Oltre al registro degli ingressi, George tiene un registro personale dove si segna tutte le cose belle che gli accadono durante il giorno trascurando di trascrivere quelle negative. Allora curioso un po’ nel suo diario e vedo una strana foto..e gli chiedo spiegazioni. 


Mi dice che una coppia di stranieri era corsa da lui qualche settimana fa, strillando a più non posso. Non capendo cosa volessero George gli ha dato il diario. Bè il disegno è abbastanza chiaro già di suo: un mega topone indiano si era infilato nell’appartamento della coppia e non aveva intenzione di andarsene. George con l’aiuto di un suo collega dopo quasi un ora è riuscito a prenderlo.

Ah..dimenticavo, George mi ha anche invitato ad un picnic con la sua famiglia e con grande piacere ho accettato l’invito. Non so cosa mi aspetta ma di certo ve lo racconterò. A presto !



sabato 11 giugno 2011

My Indian Flat

E dopo quasi un mese, parcheggiato come un vecchia bicicletta nell’appartamento del mio capo, eccomi qua seduto sul “mio divano”. Che bello! I tre weekend precedenti sono serviti per pulire casa da cima a fondo e comprare tutto il necessario: dai piatti allo stendibiancheria, dai cuscini al copridivano, dai cestini per la pattumiera al ferro da stiro.. insomma tutto quello che serve per sopravvivere. Riapro la parentesi sulla pulizia: gli indiani sono persone disponibili, sorridenti e piacevoli da frequentare, ma di certo non spiccano per la loro pulizia


Inoltre pulire per la prima volta una casa che non ti è mai appartenuta è una sensazione strana. Mi sforzo a pulire gli angoli, a lucidare i bordi, a ricoprire le cassettiere, a raschiare a fondo il lavandino, a nascondere dentro un armadio tutte le cose che non mi appartengono, come se avessi bisogno di “cancellare” la presenza altrui e di impossessarmi della casa come se fosse la mia donna.

La giornata di oggi è servita solo per mettere a punto alcune cose, il grosso del lavoro lo avevo già fatto le scorse settimane. Mi piace un sacco vedere come giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, un’ appartamento lontano migliaia di chilometri da casa, che mai avevi visto prima, grazie ad alcuni ritocchi, modifiche e aggiustamenti diventa la “nuova casa” in cui vivere serenamente. Da uno sporco ma bel appartamento indiano, sono lieto di presentarvi la mia accogliente dimora indiana..






L’appartamento ha delle rifiniture davvero pregevoli. Il proprietario è un indiano emigrato in America. Là ha trovato sicuramente fortuna perché si è comprato questo buco e lo ha trasformata con un tocco di classe che è tutto tranne che indiano. Le altre case indiane che ho intravisto fono ad ora, sono sporche, in disordine, ma soprattutto non hanno la nostra competenza e il “nostro” tocco di classe nel costruire e nell’arredare le case.







Come vi dicevo prima, poi ci sono alcune cose che mi porto appresso ormai da tempo. Non sono particolarmente legato a nulla, mi ritengo privo di ogni schiavitù materiale, ma mi piace viziarmi un po’. Alcune cose mi seguono dai tempi in cui vivevo a Varese (2007) altre sono più recenti ma per questo non meno importanti. Ecco in dettaglio cosa mi sono portato dietro..




PC 

Senza il mio PC sarei perso. Mi aiuta giornalmente a sorpassare quei momenti di debolezza che tutti hanno..






Copri Water Inter


Bellissimo regalo dei miei soci di Varese. Questo sta girando tutti i cessi…Varese, Fabriano, Pune….sotto il prossimo !











Giorgia e Giulia

Da un po’ di tempo a questa parte le mie nipotine viaggiano sempre con me. Pur essendo così piccole me le porto volentieri dietro..



Trottolino

Questo è un soprannome che da poco mi è stato dato dalle parti di Matelica. I miei amici di sù mi chiamano Birillo, le donne di giù mi chiamano Trottolino. A voi capire il perché..



Al prossimo post..per capire le prime esplorazioni del territorio indiano !





mercoledì 1 giugno 2011

I Piatti di Ruby

Dolce, sensibile, umile… fantastica. Sto esagerando? Non credo. Rubi è una donna indiana, sposata con due figli che da 12 anni aiuta il mio capo a sopravvivere. Lei arriva in tarda mattinata, rifà i letti, fa prendere aria alle camere, scopa per terra ed infine cucina. Fa avanti e indietro da casa grazie all’aiuto di Mangal Singh. Chi è Mangal Singh Se hai letto tutti i miei post dovresti già saperlo! 


Ruby in tutto questo tempo ha imparato a cucinare parecchi piatti italiani: pizza, lasagne, pasta e chi più ne ha ne metta. Il mio capo è un po’ all’antica come si dice, quindi pur essendo qui da parecchio tempo non ha mai ceduto alle prelibatezze indiane. Piuttosto si è impegnato a cercare programmi di cucina italiana e giorno dopo giorno di inculcargli la nostra tradizione. 

Da quando sono arrivato, circa due settimane fa, ho approfittato della sua assenza per dare carta libera a Ruby. Mi ha guardato prima con aria sorpresa poi con un sorriso che gli ha completamente avvolto la faccia mi ha chiesto: “Sir, Curry Paneer ??”

Così il mio approccio con i piatti indiani ha inizio. Principalmente sono piatti semplici, fatti di carne e verdura, al 70% fritti e ricoperti da una serie infinita di salse piccanti. Chiaramente se non ti piace il piccante un consiglio te lo posso dare: stai alla larga dall’ India!


E’ iniziato quindi un tour de force tra pollo in salsa agro dolce, pollo piccante, agnello con verdura, riso con gamberetti, pane indiano, polpette dio pollo e spinaci, melanzane e cavolfiori fritti..




Sicuramente le due pietanze che apprezzo di più e che sono ormai entrate nel mio DNA alimentare sono il pane indiano (naan) e un formaggio (paneer). Ecco una breve ma efficace descrizione:


Naan (pane indiano)

E’ un pane diffuso in tutto il medio oriente fatto da farina di cereali e acqua senza l’aggiunta del lievito. Davvero buono!





Paneer (formaggio)

E’ un formaggio tipo la ricotta, è poco saporito e proprio per questo è quasi sempre abbinato a verdure stufate o crude, oppure viene consumato fritto,  grigliato o messo al forno. Semplice, in quanto facile da fare, due soli ingredienti: latte e limone.






martedì 24 maggio 2011

Sezione Foto e Video


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   Post:    A Prima Vista

  Post:       Volare

 Post:    I Piatti di Ruby

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Post:    Sulla via del mattino



lunedì 23 maggio 2011

Sulla via del mattino

Sveglia alle 7:20, doccia, vestizione in 5 minuti (fantozzi docet), colazione e alle 08:00 puntuali, spaccando il secondo Mr Mangal Singh suona il campanello. Ecco come funziona qua in India. 

Chi è Mr Mangal Singh ? L’autista del mio capo che in questi giorni mi accompagna al lavoro, perché non ho ancora traslocato nella mia nuova casa indiana. Un uomo gentile, affabile, un po’ fuori di sé, perché ogni cosa che gli dici o ti dice si mette sempre a ridere. Siamo in coda, dietro una fila sterminata di macchine, motorini, furgoni, carri (più ne hai più ne metti), l’altra corsia è vuota, ma l’altra corsia è nel senso opposto.. Mangal Singh, con il suo ghigno parte a razzo e và contromano. Il mio capo seduto di fronte a me inizia a inveirgli contro; tutto il rosario ma proprio tutto è citato, parola per parola.  

Un poliziotto lo ferma, gli chiede la patente, gli dice qualcosa in lingua marathi. Mentre il brusio di sottofondo fatto da vecchie macchine scassate cresce sempre più a dismisura, torniamo nell’altra corsia ma ecco un altro imprevisto: lo spartitraffico. Non parliamo di un comune spartitraffico ma di un spartitraffico indiano: una serie di pietre grezze posizionate in fila al centro della strada. Il mio capo non fa tempo a riprendere fiato che Mangal Singh suona la carica e in un batti baleno è sopra ai sassi, pedale dell’acceleratore a fondo, fumo nero dallo scarico e il rumore stridulo della carrozzeria a contatto con i sassi. Non contento, appena superato l’ostacolo non vede una moto che arriva a bassa velocità…e….strike ! Ormai il mio capo non ha più voce mentre Mangal Singh se la continua a ridere (come il sottoscritto) come se niente fosse successo.. Incredible India.

Lo stabilimento dista a soli 30km ma ci vuole un’ ora per arrivarci. Il viaggio è una specie di ritorno al passato che inizia alle 08:00 e finisce giusto giusto alle 09:00. Mentre sulla strada si combatte a base di clacson, zig zag e accelerazioni improvvise, sui cigli della strada c’è una realtà che scorre parallela. Una realtà fatta di baracche fatiscenti, sporcizia, persone che si adagiano al suolo come se fossero stanche di vivere, bambini che corrono divertiti, pozze stagnanti di acqua maleodorante, ambulanti che vendono frutta e verdura, persone che aspettano l’autobus come se niente fosse. Un tema dominante? Il colore. Dio in confronto ha pesantemente risparmiato sugli acquarelli, Ganesha “dio indiano” no. Le nostre città e periferie sono vuote e grigie, qui i colori sembrano vivere di una luce propria. Anche se accostati in modo assurdo e bizzarro, in questa realtà sembrano avere un proprio significato e modo d’essere.

La musica di Vander Sfroos in sottofondo mi accompagna in questo viaggio giornaliero, smorzando e attutendo un po’ quelli che sono i rimorsi della coscienza che vengono a galla. Io sono solo di passaggio, loro no.




giovedì 12 maggio 2011

Voglia di scrivere

E’ possibile che in tutto questo tempo non abbia mai avuto voglia di scrivere? E’ una cosa normale, forse. Di certo è strano scoprirsi scrittori a trent’anni. In questi ultimi mesi è esplosa dentro me una voglia irrefrenabile che mi porta a riversare nero su bianco tutto quello che mi accade dentro e che mi circonda fuori.

Come se, dopo anni di lungo torpore, la mia anima si sia svegliata e abbia preso in mano una penna stilografica con la quale voglia esprimere se stessa. Migliaia di volte il mio sguardo si è appoggiato su questo giardino, posto di fronte al centro di Fabriano. Solo ora però, sono seduto con le spalle ad un albero fiorito, il sole in faccia e il pc sopra le mie ginocchia. Mi circondano giovani che si perdono nei loro vestiti sempre troppo larghi e modi troppo grezzi, bambini che giocando tra loro intorno ad un albero scoprono la bellezza del vivere, ragazze sedute vicine  con le ginocchia ripiegate che si confidano i loro segreti più intimi, mamme indaffarate a raccogliere i loro figli dal prato come se fossero dei frutti acerbi caduti troppo presto. In mezzo a questa calma apparente, eccomi qua a scrivere, immerso nei miei pensieri e nel mio mondo.

Tutto d’un tratto scopro la bellezza nell’osservare i dettagli anche più insignificanti di vite altrui e condensarne l’apparenza in poche righe. Forse mi sto perdendo nelle mie elucubrazioni mentali, forse sto girovagando intorno a me stesso, forse vedo le cose come avrei voluto vederle da parecchio tempo. Luca, cosa ti sta succedendo? La guerra è finita e ha vinto il più debole. Nonostante anni di studio analitico, razionale, schematico, logico al limite del paradosso, la parte irrazionale, sensibile, riflessiva e più profonda ha vinto. Ha finalmente vinto dopo un lungo periodo in cui non credevo neanche esistesse.

Anni in cui mi sono sforzato più volte di cercarla dentro di me trovandone solo alcuni barlumi. Durerà? Se sì, quanto? Ma sta realmente accadendo a me? Succede a tutti così? Nel mio caso credo faccia parte di un percorso che ho intrapreso fin da piccolo che mi ha condotto fino a qui. Una serie di scelte, consapevoli e non, di persone, di luoghi che mi hanno riempito il cuore così come una goccia, che giorno dopo giorno riempie il mare.



Volare

Aeroporto Francesco Cappa - Casale Monferrato. Domenica 19 Settembre 2010   Ore 09:00

Ed eccoci lì, io, Daniele e Valentina. Senza un vero perchè, trascinati dalla mia voglia di provare qualcosa di nuovo, di unico: Volare. Si perchè volare è il sogno proibito dell'uomo. I fratelli Wright hanno dato il là al concetto più moderno di volare, ma la vera sfida è galleggiare nell'aria solo con il proprio peso, senza alcuna corazza metallica che ti protegga, noi e il cielo, niente di più. I nostri sguardi si intrecciano spesso, sono un misto di eccitazione, adrenalina e paura. I paracaduti sono progettati per aprirsi ma a volta falliscono, come tutti d'altronde. Speriamo che non falliscano proprio ora..

Il tempo scorre lentamente nell'attesa del nostro turno fino a quando, ecco, il nostro momento è arrivato. Le lancette dei minuti diventano secondi, inizio a sentire il cuore che batte, come se prima si fosse fermato per prendere fiato. Pochi minuti per spiegarci cosa fare, mettere l'imbragatura ed eccomi sull'areo che sale piano verso i 4.000 metri.

L'ascesa è lenta ma continua, mi stupisco di quanto riesco a rimanere calmo. Forse il mio cervello è in standby, forse lo è sempre stato. Sta di fatto che il portone si apre.
Ci posizioniamo sulla porta, il mio istruttore dietro di me, inizia a contare e al 3 si salta..

Posizione di lancio: schiena all'indietro, gambe ben aperte e mani incrociate sul petto. Posizione impossibile da mantenere naturalmente. Mi viene voglia di mettere le mani avanti ma mi trattengo, ormai sono fuori dall'aereo.. Cosa si prova in quei secondi ? Difficile da spiegare. Per circa 10 secondi è solo paura, follia, pazzia, tremenda paura di non farcela. Poi, improvvisamente tutto cambia. Il corpo inizia a galleggiare nell'aria, apro le mani ed inizio a volare. La paura sul mio viso scompare e lascia spazio all'incredulità. Ragazzi miei, sto volando...

Trascorrono così 50 intensi e irripetibili secondi. Un battito di ciglia in una giornata normale, un'eternità in quel momento. Non ci sono più dubbi, più incertezze, me la godo, me la sto godendo al massimo. 
Rido, muovo le mani, mi agito, sto bene. Il mio corpo è come accarezzato da un fluido misterioso, senza colore, senza forma e senza sapore. Poi tutto d'un tratto un forte strattone. Uno strattone di felicità, è il paracadute che si è aperto.

Non sono ancora giunto a terra, ma sto già pensando 
a quando sarà il prossimo lancio..